Alfonso Cardamone

La memoria come risorsa del sentimento e del pensiero, compasso del ri-corso operato dalla creazione artistica, occorrenza per la sperimentazione della ciclicità dell'eterno ritorno.
Non la semplice accondiscendenza - sia chiaro - all'emotività della nostalgia o del rimpianto, bensì la messa in opera del rituale (qui paradossalmente e felicemente laico ed eversore) del tempo altro, del tempo che scavalca la durata e mira a dilatarsi nella dimensione della renovatio originaria.
Esperienza paradossale si diceva tra parentesi, perché la dimensione della contemporaneità (e qui stanno la novità, il paradosso ed il coraggio) non viene esorcizzata e accantonata, ma rientra in gioco sub specie di giudizio critico in funzione dialettica con le ragioni del mito.
L'approccio di Marina Longo alle risorse della memoria ha un che di necessitato e di fatale, ha il senso di una fascinazione e di un risarcimento insieme. Fiamma avvolgente di passione e lama tagliente di pensiero. È logos e mythos in uno. Inevitabilmente segnata (e richiamata), l'artista, dalle radici che affondano negli scogli titanici di Acireale e nell'ondoso mare dei mille misteri, che i Greci popolarono di mostri mirabolanti, ora minacciosi e ora ammalianti, forme vuoi della paura e vuoi del desiderio, ne scopre, l'artista, l'essenza indissolubilmente anfibologica mettendone in chiaro la duplice valenza di attrazione e di orrore, di rischio e di malìa.
E va oltre, su questa strada di svelamento, procedendo verso quel risarcimento al femminile di cui la storia dell'occidente è sempre stata in debito. Sirene o Amazzoni, ambedue allegorie con cui i Greci vollero cristallizzare, esorcizzandole, le loro paure verso il femminile, nelle ceramiche di Marinella si fanno materia e forma di quell'urgenza di fiamma e di pensiero di cui si disse, adesione pulsionale al loro ambiguo fascino e rivendicazione critica dell'alterità trasgressiva di cui sono allusione.
A ribadire la chiave di lettura, la Civetta che si impone a conferma della centralità del nodo dell'ambivalenza, essa, la strige, inquietante simbolo di saggezza e di iattura insieme, simile in apparenza all'uomo per la grossa testa tonda e la fissità “pensosa” dello sguardo, ma avvertita ancora come subdola minaccia perché predatrice in agguato, letale e misteriosa, protetta dall'ombra materna della Notte.

Anno: 
2010